A cura di Danilo Serra
La speculazione
filosofica dell’italiano Gianni Vattimo prende
spunto dalla personale interpretazione ermeneutica condotta minuziosamente sui
testi di due pedine fondamentali e fondanti della storia della filosofia
contemporanea, Nietzsche e Martin Heidegger, due autori aventi il merito di
aver paradossalmente ricondotto il suo vissuto verso un
Cristianesimo ritrovato, un Cristianesimo non più religioso ed “istituzionalizzante”.
Nietzsche è l’autore che ne ‘La gaia scienza’ (Die fröhliche Wissenschaft) non ha avuto
alcun timore e tremore nel fare pronunciare ad un interessante
personaggio la morte di Dio, “Dio è morto!” [Gott ist tot!].
Heidegger, soprattutto il “secondo” Heidegger, quello della
“svolta”, la Kehre come si usa dire, ha combattuto
filosoficamente contro un pensiero metafisico onto-teologico, colpevole di aver miseramente taciuto ed obliato l’Essere, ciò che in termini heideggeriani viene a
configurarsi come il più pre-occupante (ein Bedenkliches), ciò che ci (‘uns’, a
noi) pre-occupa e ci coinvolge prima di ogni altra cosa.
Nietzsche e
Heidegger sono dunque in Vattimo protagonisti di una battaglia dialettica che
impreca ed invoca l’addio alla Verità (non
a caso ‘Addio alla Verità’ è anche il
titolo di una delle opere recenti di Gianni Vattimo). In
loro, il dibattito filosofico ha almeno un punto di convergenza: non si da
alcuna fondazione ultima e normativa. È questo il senso di quella che Vattimo
definisce l’epoca del pensiero debole,
epoca nella quale la
Filosofia diviene s-fondamento, “fare
vedere che non c’è nulla di veramente fondato”. Tutto è accadimento, orizzonte
di senso, caducità storico-temporale. La debolezza del
pensiero [debole] consiste nel suo non essere più in grado di rispondere
fermamente alla domanda di leibnieziana memoria: perché [esiste] Qualcosa
anziché Niente? Di cosa possiamo affermare con evidenza di essere
certi?
“Di tutto ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Con questa ambigua proposizione Wittgenstein de-terminava il suo Tractatus
Logico-Philosophicus, l’unico testo da lui pubblicato in vita.
L’addio alla
Verità si compie in maniera silenziosa. Dinanzi alle grandi meditazioni
metafisiche il velato protagonista è solo il silenzio. Possiamo
ancora parlare di Verità nell’epoca dell’incertezza e dell’abbandono della
ricerca de-finitiva di/in un fundamentum
inconcussum?
Karl Popper, filosofo ed epistemologo austriaco, ha mostrato a
tutti come sia piuttosto illusorio cercare fondamenti anche nella scienza.
Abbiamo
creduto che tutti i cigni fossero bianchi finché non abbiamo visto con i nostri
occhi i cigni neri d’Australia. Non
è possibile dimostrare vera, assolutamente vera, qualsiasi teoria; mentre è
logicamente possibile smentire, a suon di fatti contrari, una teoria. Non
possiamo verificare (farla vera) una teoria, ma ci è possibile falsi-ficarla
(farla falsa). Insomma, la dimensione del fallibilismo e dell’errore (produttivo) abitano il piano
scientifico, ciò che un tempo, nei termini di pensiero positivo,
veniva universalmente concepito con la
immota nomea di ‘campo di conoscenze assolute
e sempre vere’.
“L’unico
punto pressoché certo nel naufragio è il punto interrogativo”, sottolinea
lo scrittore e poeta libanese Salah Stétié.
Siamo certi di vivere nell’incertezza, nella debolezza, nella non-assolutezza,
nella limitatezza. E questa è stata la più grande conquista della prima vera
rivoluzione scientifica del secolo scorso, revolutio che
ha smembrato, tra le altre cose, la validità suprema del principio
deterministico, rivelando, ad esempio, i limiti degli assiomi dell’identità
della logica classica ed i limiti propri della conoscenza umana.
Riagganciandoci
al tema esposto in principio, possiamo in Vattimo parlare
di verità solamente nei termini di ‘senso’ [orizzonte di senso], del
senso che un dato ha entro un pro-getto; un senso (a noi e per noi) che
di-viene un ‘porre’, un ‘determinare’, ‘ciò che noi mettiamo alle cose’. Lo stare all’interno di
un ambito in-stabile (nulla si dà e si concede definitivamente) in cui l’Essere
lascia essere, salvaguarda e tutela l’etica della libertà (o
etica della debolezza), secondo la quale io sono libero in quanto libero
di im-porre un senso. Se c’è una realtà oggettiva, Vera, assoluta, io non
sono libero, poiché non sono libero di esibire le mie argomentazioni e di
pro-gettarmi esserCi attivo e pensante. L’addio alla Verità
vuole dunque essere l’addio ad uno sguardo unilaterale, l’addio alla
repressione. La verità è sempre accompagnata dalla violenza. Ad
esempio, evidenzia Vattimo, il mondo cattolico, affermando le verità naturali
della Famiglia (unione ‘naturale’ di uomo e donna) attua una lotta repressiva
nei confronti dei diritti omosessuali. Il richiamarsi ad una Verità fissa,
stabile, determinata, porta così alla repressione/violenza.
L’addio alla
verità implica l’impossibilità di pensare l’Essere metafisicamente inteso:
fissità, fermezza, fondamento, Subiectum
(hypokèimenon), “ciò che sta sotto”,
“ciò che sussiste di per sé”. Nell’epoca della post-modernità, epoca della
post-metafisica, l’Essere può essere pensato solo e semplicemente come invio, trasmissione,
destino (ciò che destina, che ‘fa essere’), evento,
‘Ereignis’, così come ha insegnato l’intera tradizione fenomenologica
husserliana.
«Un Dio “diverso” dall’essere metafisico non può più essere il Dio della
verità definitiva e assoluta che non ammette alcuna diversità dottrinale. Per
questo lo si può chiamare un Dio “relativista”. Un “Dio debole”, se si vuole,
che non svela la nostra debolezza per affermarsi a propria volta come luminoso,
onnipotente sovrano, tremendo, secondo i tratti propri del personaggio
(minaccioso e rassicurante) della religiosità naturale-metafisica».
Così “parlò”
Vattimo in una delle pagine più profonde ed incisive del suo ‘Addio alla
Verità’.
Il Dio della
post-metafisica è il Dio del Libro,
il Dio del Vangelo, il Dio della Non-Religione. Il Cristianesimo non religioso
è il Cristianesimo dell’intimità, della singolarità,
dell’interpretazione [orizzonte di senso], del silenzio, in antitesi al Dotto
Cristianesimo istituzionalizzante. Richiamandosi alle dimensioni interiori e
soggettive, ‘In interiore homine habitat Veritas’, il Logos cristiano
distrugge ogni Assoluto Terrestre ed ogni Metafisica oggettivante e
tecnicizzante.
L’Incarnazione,
il senso stesso del Cristianesimo, è l’Idea di un Dio che rinuncia alla sua
forza suprema, al suo carattere imperativo ed imperante, facendosi debole
tra i deboli, umile tra gli
umili. Il Dio relativista e debole è il Dio che
rinuncia alla sua Onnipotenza. È un Dio che s’incarna, che si ossifica,
che si materializza, che si svuota.
Questo è il destino comune (Ge-schick)
della metafisica, l’Oltre della metafisica stessa, la Kenosis (vacuità)
in quanto svuotamento, Evento storico, essenza
del Cristianesimo
Anti-Metafisico.
2 commenti:
Ciarpume e balordaggini.
Spiegati meglio...
Posta un commento